voci dal parcovisitare il parcogli autoricos'è il parcohome page
 
    comuni e itinerari        in viaggio con le parole        scuole        eventi e news    

parco paesaggistico letterario langhe monferrato roero > visitare il parco > comuni > roccaverano

Roccaverano

LA TORRE, alta quasi 30 metri, ha una circonferenza di 26,50 metri e lo spessore del muro alla base supera i due metri. La sommità è adorna di tre ordini di archetti pensili, sorretti da semplici mensoline, e ogni ordine è sormontato da un motivo ornamentale a denti di sega. La torre presenta un'apertura all'altezza di oltre sette metri, forse collegata da una galleria a volta al secondo piano del palazzo.
Il materiale usato per la costruzione è la pietra arenaria, squadrata in blocchi regolari disposti con ordine in file orizzontali. L'elevazione della torre e la sua solidità si giustificano sia come punto di riferimento per i castelli vicini, sia come valido strumento difensivo: all'interno di essa partiva, per i casi disperati, un sotterraneo che conduceva all'aperto. Fra la torre e il muro superstite del castello oggi si estende un parco, ma dal piazzale antistante la facciata si coglie abbastanza bene l'effetto che doveva rendere l'accostamento del massiccio palazzo a pianta rettangolare, lungo e stretto, alla torre cilindrica che lo sovrastava. Il muro rimasto non presenta porte d'accesso, ma soltanto finestre, che ne interrompono la compatta struttura: al piano superiore si aprono sul vuoto tre bifore archiacute con colonnina centrale, sovrastate da cornice in pietra: inferiormente quattro feritoie denunciano l'uso in prevalenza militare del castello. I recenti restauri hanno consentito una fruizione turistica globale dell'edificio, con la possibilità di salire sulla torre e la creazione di una balconata in legno in corrispondenza del primo piano del castello, che permette di affacciarsi alle bifore per una veduta d'insieme e sopraelevata della chiesa e della piazza.

LA PARROCCHIALE - come attesta una lapide - fu voluta nel 1509 dal vescovo Enrico Bruno, nativo del luogo, che però morì pochi mesi dopo l'avvio dei lavori, sicché l'impresa fu portata a compimento dai nipoti Paolo Emilio e Giovanni Francesco. Fu quest'ultimo, vescovo di Nola, a consacrare nel 1516 la chiesa, che sviluppa idee di derivazione bramantesca nella pianta a croce greca, con tiburio all'incrocio delle due corte braccia. La facciata, a capanna, appare tripartita da lesene, entro cui armoniosamente s'inseriscono i profili di tre arcate, ed è a sua volta sormontata da un frontone al centro del quale campeggia, in bassorilievo, a mezzo busto, il Salvatore benedicente contornato da quattro cherubini e dai simboli del tempo (o - come altri suppone - del Cristo e della Chiesa): il Sole e la Luna; un altro sole rimanda probabilmente allo stemma dei Bruno.
Del resto, tre stemmi di marmo bianco posti al di sopra delle tre porte, per quanto scalpellati durante la dominazione francese, lasciano intravedere i resti di un sole a otto fiamme che era scolpito nella parte inferiore degli scudi. Sotto di esso è inciso il nome del personaggio cui si riferiscono: al centro quello di Enrico e ai lati quelli di Giovanni Francesco e di Paolo Emilio.
Anche all'interno, nel fregio della cornice di imposta degli archi della cupola sono visibili dei soli in rilievo a stucco dorato. Un altro sole è scolpito nella lastra di pietra davanti all'altare dei Bruno, situato al centro del fianco destro. Sul frontone di una cappelletta dedicata a San Giuseppe è pure scolpito il sole e, nel fondo della nicchia rettangolare che accoglie un bassorilievo rappresentante il Santo, c'è una formella in pietra col sole scolpito in rilievo. Un altro sole scalpellato è in una lastra in pietra murata sulla parete di una casa su cui è scolpita in bassorilievo una ben modellata Resurrezione, al centro del sarcofago.Queste testimonianze stanno a documentare la liberalità dei Bruno, feudatari del luogo, così come le iscrizioni della chiesa attestano la loro notevole cultura umanistica. 
Nobile è pure l'interno, con la cupola centrale che poggia su quattro massicci pilastri in pietra; mentre più tardo e più banale è il presbiterio: è probabile che nel 1827, per costruire il coro, si sia demolita l'originaria abside rettilinea.
Nel pennacchio della cupola, al di sotto della figura di San Marco evangelista, è tuttora leggibile la firma del pittore Calosso, che nel 1893 ne curò la decorazione, sovrapponendola a una precedente di metà Settecento. Con tutto ciò, la chiesa per la sua pianta sviluppata e iscritta in un quadrato, non ha precedenti rinascimentali e nessun altro architetto aveva analizzato e approfondito i problemi della chiesa a pianta centrale quanto il Bramante. Viene pertanto naturale pensare che monsignor Enrico Bruno, vivendo a Roma in qualità di amministratore depositario delle rendite dei domini temporali della Chiesa Romana in un periodo di grande fervore costruttivo, intenzionato a erigere una chiesa al suo paese d'origine, si sia rivolto al geniale architetto che in quegli anni lavorava a Roma per il Papato.
La ricerca dei simboli e degli stemmi della famiglia Bruno ci invita a una passeggiata per il centro storico di Roccaverano, tra ripide strade e voltoni in pietra, portali scolpiti e scorci suggestivi, lapidi di grandi del passato e anche qualche edificio moderno non troppo consono al luogo.

SAN GIOVANNI. Seguendo il crinale di Langa si arriva alla chiesa cimiteriale di San Giovanni, antica parrocchiale che contiene il più completo e imponente ciclo di affreschi gotici dell'Astigiano. La chiesa ha la facciata ottocentesca, ma il resto della costruzione ha mantenuto in parte caratteri romanici. Pare che una prima costruzione potesse esistere già prima del 1200, forse addirittura verso il 1000.
L' interno, a una sola navata, è decorato con motivi a stella risalenti al secolo scorso, con l'eccezione della zona absidale. L'apertura di alcune finestre ha in parte rovinato gli affreschi, restaurati negli anni Ottanta e Novanta dal laboratorio Nicola di Aramengo. Discrete porzioni della parete destra del presbiterio sono andate perdute e alcuni lavori di muratura sulla parete destra della navata hanno compromesso altri dipinti. La chiesa romanica originale ha subito in più tempi vari ed importanti rimaneggiamenti, forse anche la demolizione e la ricostruzione. I primi due "piani" del campanile sono l'unica parte oggi esistente che risalgono sicuramente all'epoca romanica. La parte del presbiterio dovrebbe risalire alla prima metà del XIV secolo.
Le decorazioni, a parte lo splendido velario bianco, legato con anelli a un grosso tronco di legno, sono costituite da fasce vegetali e geometriche che ornano i costoloni della crociera e la parete interna del sottarco. AI di sotto di una serie di Sante compaiono ripetuti gli stemmi delle famiglie committenti Bruno e Scarampi, il che consente di datare l'opera all'incirca al 1480.
Sulla parete di fondo sono effigiati otto Apostoli, inseriti in finte nicchie con archetti marmorei; gli altri quattro Apostoli sono disposti due per parte sulle pareti laterali.Alle pareti si susseguono otto pannelli con le storie di San Giovanni Battista patrono della chiesa. Al di sopra, nella lunetta, troviamo la Crocifissione; il Cristo in croce è andato perduto a causa dell'apertura di una finestra, ma restano la Vergine dolente e San Giovanni. Alle pareti si susseguono otto pannelli con le storie di San Giovanni, tra cui molto particolare per costumi e resa cromatica è la scena del banchetto, in cui è recata la testa mozzata del Profeta. Anche la volta ed il sottarco sono affrescate con scene di vita dei santi, così come la navata.
Nella volta le quattro unghie contengono una il Cristo Pantocrator, tra Maria e Giovanni Battista, le altre gli Evangelisti, con i loro simboli, seduti su scranni marmorei. Nel sottarco sono raffigurate Santa Lucia, Santa Apollonia, Sant'Agata, Santa Maria Maddalena e, nella parete interna dello stesso, tre Santi non ben identificati entro clipei. Sulla parete della navata destra, probabilmente di altro autore ed eseguita alcuni anni dopo (1502), sono effigiati l'Incoronazione della Madonna, il Cristo di Pietà, alcuni frammenti di Santi, di cui uno forse è San Rocco.
A poche centinaia di metri da San Giovanni svetta l'isolata TORRE DI VENGORE, duecentesca che serviva come vedetta verso la valle Bormida di Spigno, il Ponzone e l'Acquese. A base quadrata, alta e possente viene associata ad una leggenda che collegherebbe la costruzione della torre alla vanità di alcuni roccaveranesi che avrebbero voluto uguagliare la potenza regale innalzando un edificio più grande e possente di quello dei legittimi sovrani, gridando al cielo: "Vengo, Re, Vengo, Re".
 Naturalmente, come nell'episodio biblico della torre di Babele,il loro orgoglio fu subito punito dall'ira divina e la torre rimase lì, in mezzo alla campagna, maestosa e inutilizzata.
Attualmente è di nuovo agibile e visitabile, grazie a  lavori di ristrutturazione e restauro promossi dalla Comunità Montana-Langa Artigiana Val Bormida che l’hanno riportata all'antico splendore.


STORIA
Il nome del paese - di cui si suppone esistesse un nucleo già in età romana - deriva dalla vicina presenza del torrente Ovrano, incassato nei calanchi verso Mombaldone. Rocha Uveraniè detto nei più antichi documenti, anche se nel X secolo un diploma dell'imperatore Ottone l, che concedeva il dominio del luogo ad Aleramo, riporta la dizione Ruspaverano, da cui si ottenne poi l'attuale Roccaverano.
Il paese si sviluppò come centro di notevole importanza nell'ambito dei domini aleramici di Bonifacio del Vasto, che morendo divise la Marca fra i suoi figli, determinando così la frammentazione politica della Langa. Il suo erede Ottone I Del Carretto ebbe giurisdizione sui luoghi di Castino, Bosia, Torre Borrnida, Castelletto Uzzone, Vesime, Saleggio, Scaletta, Bergolo, Pezzolo, Torre Uzzone, Gorrino, Lodisio, Serole, Olmo, Perletto, Roccaverano, Mombaldone, Denice, Ponti, Cortemilia, Bubbio, Cassinasco, Borgomale, Monastero, Benevello, Santa Giulia, Monchiero, Lequio, Novello e Saliceto.
Nell'ambito di questo vasto dominio Roccaverano non era certo il luogo di minor importanza per la sua dislocazione strategica, al punto che ben presto fece gola agli Astigiani, alla continua ricerca di strade sicure per i loro commerci con la costa ligure.
Nel 1209 Ottone Del Carretto e il figlio Ugo vennero dunque a patti con il Comune di Asti e dietro promessa di investitura alienarono tutti i loro possessi delle Langhe per 1000 lire genoine. Fra le altre località era compresa Rocha Vevrana. Asti annoverò dunque Roccaverano tra i propri feudi, lo inserì nel Codex astensisal capitolo XXXIX e quando, molto più tardi, il codice fu trascritto, venne raffigurata in una miniatura l'immagine del castello, con una cortina merlata senza aperture che potrebbe corrispondere al palazzo, addossata a una torre cilindrica, molto simile a quella tuttora visibile.
Come feudo astigiano il borgo rimase alla famiglia Del Carretto e fu assegnato a Enrico III, fratello di Ugo, che probabilmente vi elesse la sua residenza, sicché nel 1240 viene detto Signore di Roccaverano. Da Enrico discesero Guglielmo (ricordato tra i fedeli di Carlo d'Angiò nel 1269) e quel Bonifacio, signore di Ponti, al quale si deve l'edificazione del castello, come ricordava una lapide letta dal Vergano e murata presso l'ingresso della torre. Secondo questo documento nel 1204 (ma probabilmente la data va posticipata di qualche decennio) "dominus Bonifacio de Carreto" aveva fatto costruire "boc castrum quod vocatur Rocba Bianca", all'età di 26 anni. Nel 1322 fu proprio un nipote di Bonifacio, che portava lo stesso nome dell'avo, a donare il feudo di Roccaverano, insieme con Manfredo Del Carretto della linea di Cairo, al marchese Manfredo IV di Saluzzo. I Saluzzo, che non avevano interessi per le Langhe, alienarono dopo alcuni anni il paese, che nel 1337 fu da loro venduto a Oddone, Giacomo, Matteo, Giovannone e Tomasino, tutti figli di Antonio Scarampi, insieme con i feudi di Cortemilia, Vernetta, Castelmartini, Bubbio e Santa Giulia.
Con tale imponente acquisto, del valore di 110.000 franchi, gli Scarampi divennero signori incontrastati dell'intero territorio. La loro grande ricchezza proveniva dall'attività bancaria che svolgevano in Francia; già nel 1292 Filippo il Bello concedeva loro di essere considerati borghesi del luogo dove risiedevano, affrancandoli dalle tasse ed esazioni cui erano soggetti, e altri privilegi ottennero in seguito per la loro attività alle fiere di Champagne. La loro professione bancaria, ovviamente, non era aliena dal ricorso all'usura, a tal punto che il termine scaramps divenne sinonimo di usuraio persino in qualche documento ufficiale e, secondo uno statuto fiammingo del secolo XIII, era da considerarsi un'ingiuria. Dei figli di Antonio, Giacomo portò il titolo di signore di Altare e di Roccaverano, che fu mantenuto dai discendenti, fino all'estinzione del ramo maschile, terminato nel 1575 con Claudia Maria, figlia di Alessandro e moglie di Bonifacio Valperga di Caluso.
Scarampi, Valperga, Scaglia e Della Rovere si divisero, non senza liti, il feudo di Roccaverano all'inizio del Seicento.
Durante il secolo XVll il castello dovette subire, per la sua posizione strategica, occupazioni diverse da parte degli eserciti che combattevano sul suolo piemontese. In occasione della guerra di Monferrato venne espugnato nel 1615 dagli Spagnoli, comandati da don Luigi di Cordova, dopo essere stato strenuamente difeso dai Francesi che, alla resa, ottennero l'onore delle armi. Nel 1633 venne messo a sacco dalle milizie napoletane che erano dirette in Alsazia e nel secolo successivo subì altre due occupazioni, una francese nel 1715 e una spagnola nel 1744.
Intanto Carlo Emanuele II acquistò dai Valperga marchesi dell'Olmo i diritti che questi avevano su Roccaverano nel 1673 e in seguito furono comprate dai Savoia anche tutte le ragioni feudali superstiti degli Scarampi, il che comportò per la popolazione la rinuncia agli antichi diritti concessi dai Del Carretto, compresa l'esenzione dai dazi e dalle imposte per le merci. Di questo remoto privilegio resta una documentazione nell'analisi dei confini e dei territori dei paesi della Langa Astigiana. Ogni Comune, anche distante - ad esempio Loazzolo - ha una striscia di territorio che si insinua fino alla valle della Tatorba e tocca, magari solo per pochi metri, il territorio Roccaverano, in modo che le some e i carriaggi potessero evitare la successione onerosa di posti di blocco feudali con relative gabelle. Persino il lontano Sessame aveva il suo collegamento diretto, che fu oggetto di scambio territoriale con Monastero nei primi anni del Novecento.


Roccaverano nelle parole di Augusto Monti >

È la piccola capitale della Langa Astigiana, il paese più alto, il più rappresentativo, il più esteso, quello che giustifica l'essenza montana dell'intero territorio. Nessun paese della Langa astigiana è ricco di opere d'arte come Roccaverano, che può vantare, tra le altre cose, una delle più belle e armoniose piazze del Piemonte. L'insieme monumentale di castello e torre, unitamente alla parrocchiale bramantesca, costituisce il cuore del paese, la sintesi della sua storia e delle sue vicende.

Cesare Pavese
Acqui Terme
Ponti
Monbaldone
Roccaverano
Monastero Bormida
Cortemilia


crediti  |  mappa del sito   |  contatti