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Roberto Longhi (1890-1970), storico e critico d'arte

Roberto Longhi (di Vittorio Sgarbi)
Tratto da “Dell’Italia – Uomini e Luoghi. Rizzoli Editore, 1991

Nonostante le mie origini ferraresi il libro di Roberto Longhi che ho letto e riletto con maggior avidità, e conseguente soddisfazione, non è Officina ferrarese, nato ai margini della grande Mostra  della pittura ferrarese nel Rinascimento del 1933, ma il Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, storia, enciclopedia, e soprattutto illuminazioni sulla grande civiltà pittorica veneta.

Degli scrittori di qualità si può dire che leggerli equivale a sentirne la voce. Nessuno come Roberto Longhi, pur nella scelta accuratissima del lessico, nella geometrica e implacabile tensione dei concetti, ha una scrittura parlata e animata. Con sorprendente efficacia è riuscito a tenere unite l’esaltazione della scoperta e l’utilità della didattica. Tecnico ed esperto insuperabile non ha ristretto il suo campo alla comunicazione con gli specialisti ( al suo confronto, peraltro, inesistenti) e ha parlato, scoprendo, per tutti.

Sicuramente gli faceva orrore la parola “divulgazione”. Illustrare un quadro non deve essere spiegazione di quello che si vede, ma rivelazione di quello che non si vede. E attraverso ciò che non si è ancora visto, spesso, ma non necessariamente, inedito, si contribuisce alla comprensione della storia nei sui perfetti simulacri che sono i dipinti. Nessuna scrittura, come nessuna ricostruzione storica, è più immersa nel suo tempo di un’opera d’arte, che si identifica tisicamente con la storia. Essa non lascia margine all’opinione, all’interpretazione. Essa è.

Un dipinto antico è un frammento del tempo sopravvissuto al tempo. Possiamo solo fraintenderlo, deformarlo attraverso l’ingombro del nostro gusto. Longhi si è posto davanti alle immagini per farle parlare, come un ventriloquo. E ha ricostruito la storia con un metodo manzoniano. Ma mentre lo storico, lavorando sui documenti, deve far ricorso alla fantasia con lo stesso margine di arbitrio del regista di un film, lo storico dell’arte ha di fronte un teatro di fantasmi. Il suo materiale non è nel passato, ma nel presente. Nessuno ha inteso meglio questo privilegio di Roberto Longhi. Le immagini stanno davanti a noi e lo strumento più efficace per comprenderle è l’occhio.

Teorie e ideologie ingombrano inutilmente il campo. Subito Longhi – idealista? crociano? positivista? storicista? – se ne sbarazza. Come Monet davanti alla natura, Longhi davanti alla pittura è soltanto un occhio, un enorme occhio. E quale occhio! Dunque la storia dell’arte non riguarda quello che esiste, ma quello che non esiste ancora. Longhi esplora territori sconosciuti; e la scoperta non è soltanto nel trovare opere nuove ma nel vedere con occhi nuovi. Il racconto della storia non è interpretazione o documento ma è una continua, rinnovata emozione del vedere. Difficile, se non impossibile rivedere, dopo Longhi, un quadro nello stesso modo di prima. Il passaggio del suo occhio costringe il nostro a seguirlo, come una luce che ci guida nel buio. Rivelazioni, aperture sono le indagini del Longhi. E il loro strumento è la parola.

Longhi elabora un linguaggio critico che sostiene il confronto con le invenzioni naturalmente sorprendenti degli artisti. Non è possibile commentare adeguatamente un’opera viva con una lingua morta. La pagina deve vibrare, deve comunicare euforia, deve ricostruire l’entusiasmo e la felicità che l’artista ha raggiunto nel concepire ed eseguire le sue opere. La critica deve essere una gara con l’arte e con la storia. Fino all’illusione, fino all’inganno. Per questo, davanti all’immagine, Longhi si fa ventriloquo. Il dipinto comincia a parlare e ne esce l’essenza, la verità nascosta, il pensiero segreto. Longhi estrae lo spirito di un artista con gli occhi e glielo restituisce con la parola. Le sue pagine sono organismi vivi, di intatta freschezza. Leggendole si prova la sensazione che danno certi cibi che diventano tali senza aver perduto la loro condizione naturale, come un frutto da noi stessi spiccato dall’albero, come pesci ancora vivi.

La parola di Longhi si muove, continua ad agitarsi, a mandare segnali, a fornire stimoli, per la sua stessa revisione. I veri eredi di Longhi non sono fossilizzati sulle sue posizioni ma utilizzano il suo metodo per andare oltre, cercano nuove soluzioni e rendono fruttuoso anche l’errore.

Soltanto per gli ottusi gli errori di Longhi sono contagiosi e bloccano l’avanzamento della ricerca. Lo stesso stile di Longhi è tanto vivo da essere mutevole, stagionale, con sorprendenti escursioni, da formule quasi ermetiche a una rassicurante limpidezza, nel corso degli anni. Ci sono le ere di Longhi, e i suoi imitatori hanno cristallizzato come un’astrazione ciò che era infinitamente mutevole. Ho iniziato parlando del Viatico per cinque secoli di pittura veneziana. Ricorderò allora che tra le caratteristiche della lingua di Longhi, mai arida e mai tecnica, c’era l’applicazione di modelli dell’estetica generale alla specifica realtà delle opere. Longhi estende alle arti figurative con impeccabile coerenza e precisione il concetto crociano di poesia, e lo rende tanto vero quanto memorabile. Ricordo che il particolare, ma esatto, uso delle parole: “poesia” e “poeta”, mi offrì irresistibilmente l’argomento della tesi di laurea.

Longhi definisce il pittore vicentino Giovanni Buonconsiglio, detto il Merescalco: “Poeta di un solo dipinto”. Si riferisce ala Pietà del Museo Civico di Vicenza. La pagina che la descrive è un esempio letterale di prosa d’arte. Ma quella definizione, “poeta di un solo dipinto”, ci impone di guardare l’artista sotto altra luce, come un piedestallo che l’innalza allo stesso livello dei grandi del suo tempo. Vicino al più grande, Giovanni Bellini, per il quale ancora, e per i suoi allievi fedeli, in contrapposizione al “narratore” Carpaccio, Longhi usa la parola “poeta”: “La poesia suole crescere in primis sulla poesia; e così nel clima poetico altissimo creato a Venezia dal Bellini crescono liberi i buoni poeti di Venezia e della provincia.”

E l’efficacia di questa identificazione della poesia con la pittura si riproduce, senza mai la banalità dei retori, nella definizione di altri artisti. Ho scelto fra i mille questo esempio che tocca il centro della funzione critica il cui compito è dare, attraverso le parole, il senso e il sentimento di un linguaggio legato agli occhi. E se dagli occhi viene l’immagine, dagli occhi deve venire la parola. Longhi ha inventato un linguaggio visibile, una parola figurata che aumenta le nostre capacità di vedere. Grazie alle sue letture noi vediamo di più; e l’emozione della parola restituisce vita alle reliquie della storia.

 

 

 
Roberto Longhi
Biografia

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