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Le vicende biografiche di Vittorio Alfieri sono tra le più celebri della Letteratura italiana grazie all’opera dell’autore stesso, Vita, che narra la sua esistenza singolare ed avventurosa in un vero e proprio romanzo che appassiona il lettore per le scene “forti”, di passioni travolgenti, di ideali, di enfasi, di un indomabile furore e sdegno verso ogni tipo di meschinità.

Il suo carattere ribelle e tormentato lo rese, in qualche modo, precursore delle inquietudini romantiche che esplosero di lì a poco, e animò i personaggi delle sue celebri opere: con l’Alfieri rinacque in Italia il genere del teatro tragico.

Stemma della famiglia Alfieri

stemma della famiglia alfieri


Vittorio Alfieri nacque ad Asti nel 1749 da una ricca famiglia della nobiltà piemontese: perse il padre, Antonio Amedeo Alfieri Bianco conte di Cortemiglia, uomo dai principi molto tradizionalisti, quando aveva solo un anno, e venne affidato alla tutela di uno zio, mentre la madre, Monica Marianna Maillard di Tournon, passò a nuove nozze col cavaliere Giacinto Alfieri di Magliano.

Il certificato di battesimo di AlfieriVittorio Alfieri: certificato di battesimo

A sinistra: la madre, Marianna Maillard di Tournon, tiene in braccio il piccolo Vittorio
A destra: la sorella Giulia

La madre di Alfieri, Marianna Maillard di Tournon. A destra la sorella Giulia

Nel 1755 la sorella Giulia viene messa in un monastero ad Asti, cosa per cui il piccolo Vittorio, rimasto l´unico figlio in casa, prova un grande dolore. Viene affidato al «
buon prete», ma «ignorantuccio», don Ivaldi, che gli insegna a leggere e a scrivere e sarà il suo maestro per quattro anni.

Pur circondato da parenti «
ignorantissimi», Alfieri scopre di possedere una certa propensione allo studio, che egli coltiva nella solitudine delle pareti di casa. Ad una precoce indole malinconica si accompagnano le prime manifestazioni di una sensibilità inquieta e di un «carattere appassionato»: in un accesso dell´«umor malinconico» che si andava impadronendo di lui, nel 1756 il piccolo Vittorio compie un ingenuo tentativo di suicidio ingoiando dell´erba che credeva velenosa.

”Fra i sette ed ott´anni, trovandomi un giorno in queste disposizioni malinconiche, occasionate forse anche dalla salute che era gracile anzi che no, visto uscire il maestro, e il servitore, corsi fuori dal mio salotto che posto a terreno riusciva in un secondo cortile, dove eravi intorno intorno molt´erba. E tosto mi misi a strapparne colle mani quanta ne veniva, e ponendomela in bocca a masticarne e ingoiarne quanta più ne poteva, malgrado il sapore ostico ed amarissimo. Io avea sentito dire non so da chi, né come, né quando, che v´era un´erba detta cicuta che avvelenava e faceva morire [...] mi spinsi avidissimamente a mangiar di quell´erba, figurandomi che in essa vi dovesse anco essere della cicuta. Ma ributtato poi dall´insopportabile amarezza e crudità d´un tal pascolo, e sentendomi provocato a dare di stomaco, fuggii nell´annesso giardino, dove non veduto da chi che sia mi liberai quasi interamente di tutta l´erba ingoiata, e tornatomene in camera me ne rimasi soletto e tacito con qualche doloruzzo di stomaco e di corpo.”

Il gesto gli costa soltanto dolori di pancia ed un castigo inflittogli dalla madre che, accortasi del malessere del figlio, lo interroga fino a ottenere la sua confessione. In questo episodio si può forse riconoscere una prima manifestazione infantile di quell´amor mortis che in seguito Alfieri rappresenterà in diversi personaggi delle sue tragedie, particolarmente nelle eroine tragiche: Antigone, Virginia, Ottavia, Maria Stuarda, Sofonisba, Mirra, Alceste.

La madre di Alfieri,
Marianna Maillard di Tournon

La madre di Alfieri, Marianna Maillard di Tournon

All’età di nove anni viene mandato all’Accademia militare di Torino, ai tempi considerato uno dei migliori collegi d’Europa, dove la gioventù nobile veniva erudita nel campo delle scienze e negli esercizi cavallereschi. Vi rimane per otto anni, frequentando successivamente le classi di Grammatica, Umanità, Retorica, Filosofia, Fisica, Legge.

Secondo la Vita il soggiorno in Accademia non giova né alla salute di Vittorio, che vi si ammalò spesso, né alla sua formazione culturale: sono anni di «
infermità, ed ozio, e ignoranza». Ma secondo un suo biografo, Sirven, Alfieri ha esagerato nel disprezzare gli studi fatti all’Accademia: proprio ad essi anzi, egli dovrebbe la patina latineggiante che poi affiorò nelle tragedie. E avrà modo di fare delle letture personali, seppur disordinate: legge, senza molto intenderlo, l’Orlando furioso, l’Eneide del Caro e qualche commedia del Goldoni. Frequenta l’architetto Benedetto Alfieri, cugino del padre, senza giovarsi della sua cultura, cosa di cui poi si rammaricherà.

Nel 1763 Alfieri inizia lo studio del diritto civile e canonico che in quattro anni lo avrebbe dovuto portare alla «
laurea avvocatesca». Viene però colpito da una grave malattia cutanea al capo - vissuta con disagio e vergogna - a seguito della quale gli vengono rasati i capelli e si trova costretto a usare per un certo tempo una parrucca, divenuta subito oggetto dello scherno dei compagni d´Accademia.

Studia senza profitto il cembalo, benché avesse una «
passione smisurata» per la musica. Proprio il maestro di cembalo gli presta vari romanzi francesi che il giovane Alfieri legge con passione: tra questi il Gil Blas di Lesage (1668-1747), la Cassandre di La Calprenède (1610-1663), l´Almahide di Scudery (1607-1701) e soprattutto i Mémoires et aventures d´un homme de qualité di Prévost (1697-1763), riletto «almen dieci volte».

Frequenta senza alcun frutto anche le scuole di scherma e di ballo: verso quest´ultima «
arte burattinesca» prova anzi un´avversione che diviene autentica ripugnanza. Nella Vita Alfieri racconta di non aver mai saputo ballare «neppure un mezzo minué».




Biografia a cura di
Olga Scarsi