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Nel 1771 una travolgente passione per Penelope Pitt, figlia dell’inviato britannico a Torino,George Pitt, consuma l’Alfieri tanto da farsi scoprire dal marito della donna, il visconte Edward Ligonier, che sfida il rivale in un duello: Alfieri se la cava con una ferita al braccio, ma è costretto a fuggire, deluso anche dalla “confessione sozzissima” dell’amata, colpevole di aver avuto un’altra relazione di dominio pubblico sulle gazzette ufficiali. Questo scandalo pregiudicò irreparabilmente un’eventuale carriera diplomatica di Alfieri, che per ciò avrebbe poi scelto un’altra attività, quella di autore tragico.

Penelope Pitt e il marito,
visconte Edward Ligonier

Penelope Pitt e il marito Edward Ligonier

Parte per la Spagna facendo tappa per due settimane a Parigi: qui il suo carattere orgoglioso lo trattiene dall’essere presentato a Rousseau tramite un comune conoscente; compie tappe a Barcellona, Madrid e Lisbona: qui avviene il decisivo incontro con l’abate Tommaso Valperga di Caluso, un letterato dall’alto profilo morale ed intellettuale, che Alfieri considererà maestro e amico ideale per l’intero corso della sua esistenza e al quale sarà indirizzata una parte consistente dell’epistolario alfieriano.

L’abate lo incoraggia a “
leggicchiare, a riflettere”, e così Alfieri matura la prima fase della sua “conversione letteraria” e riprende la strada del ritorno verso casa: passando per Siviglia, Cadice, Cordova, Valenza, Barcellona, Montpellier, e andando per mare da Antibes a Genova, torna in Piemonte fermandosi prima ad Asti, quindi, dal 5 Maggio 1772 a Torino, indebolito e malconcio a causa di una malattia venerea contratta nel corso dei suoi numerosi amori mercenari.

Prende dimora in “
una magnifica casa posta su la piazza bellissima di San Carlo” e conduce una “vita giovanile oziosissima”, costituendo con alcuni amici d’Accademia una piccola Società letteraria denominata dei Sansguignons (i «Senzaubbìa»), che si riunisce a casa dell’Alfieri per leggere i testi scritti dai componenti. Cade nella “terza trappola amorosa” intrecciando una relazione con Gabriella Falletti di Villafalletto, di dieci anni più anziana di lui, moglie del marchese Turinetti, da cui cerca invano di separarsi. Per vincere il tedio dell’assistenza alla Priè ammalatasi, comincia a scrivere la sua prima tragedia, Antonio e Cleopatra. Nel maggio 1774 intraprende un viaggio in Italia per tentare di liberarsi del legame amoroso: ma dopo diciotto giorni torna a Torino.

Prende la decisione di troncare la relazione con “
l’odiosamata Signora” e dopo un periodo di intenso lavoro porta a termine Antonio e Cleopatra, tragedia che viene con successo rappresentata al Teatro Carignano di Torino il 10 e 11 Giugno 1775. Da questo momento Alfieri si accinge al “duro impegno” di diventare “autor tragico”: fermo nel suo intento di cambiare vita ed abitudini, si fa legare più volte alla seggiola da Elia per costringersi allo studio e per non allontanarsi da casa. Forte della tormentata esperienza compositiva suddivide l’elaborazione di una tragedia in tre tempi o «respiri»: breve abbozzo in prosa, stesura completa della tragedia in prosa, versificazione.

Quadro che rappresenta Vittorio Alfieri
legato alla sedia dal fedele servitore Elia

Alfieri legato alla sedia

Il primo ostacolo “letterario” è costituito dal problema linguistico: Alfieri da tempo legge testi in francese, e il francese è la sua prima lingua di conversazione e di scrittura, oltre al dialetto piemontese: durante i suoi viaggi ha quasi dimenticato l’italiano, e si rende ben conto della “
imperizia quasi che totale” nell’ “arte del bene scrivere e padroneggiare la sua propria lingua”. Deciso a “disfrancesarsi”, nel luglio 1775 decide di non usare mai più il francese: studia con ardore la grammatica italiana, legge e traduce i classici italiani Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, compie due “viaggi letterari” in Toscana, scrive rime e si confronta con i più abili intellettuali.

Abbozza e verseggia le idee delle sue principali tragedie: Filippo e Polinice, Carlo Primo, Romeo e Giulietta, Antigone.